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Carogne e telecamere

È ben noto a chiunque si occupi di comunicazione che il registro visivo prevale nell’attenzione e negli effetti sul registro verbale. A parte le discussioni filosofiche sul realismo, questo è antropologicamente sensato: il vedere porta intimazioni di verità più forti del simbolico, cioè ci fidiamo più delle immagini che delle parole. Di fronte a un grosso cane che ringhia e ci mostra i denti, il cartello “Cane non pericoloso” ci dà poca fiducia. Detto questo, la vicenda della finale di Coppa Italia di calcio di sabato 3 maggio 2014, con l’irruzione sulla scena mediatica di Genny, detto ‘a carogna, è un esempio da manuale. Genny parla col proprio corpo e con il proprio abito, e questo linguaggio, ancora una volta, prevale su ogni altro canale espressivo.

Peraltro, a Genny non è stata data, nell’occasione, altra possibilità di esprimersi. E il corpo tatuato e il cranio rasato di Genny esprimono il look del coatto globale, molto simile oggi in tutto il mondo. In più, la sua t-shirt comunicava la solidarietà con un uomo condannato in via definitiva per l’assassinio di un poliziotto. La t-shirt come mezzo di comunicazione ha una lunga storia, ma è sufficiente ricordare l’uso provocatorio che ne fecero i punk. Insieme, t-shirt e tatuaggio sono testi sulla superficie del corpo, sul confine tra interno ed esterno.

t-shirt punk

http://www.polyvore.com/chaos_queen_punk_shirt_kult/thing?id=16810380

Il malavitoso che esprime attraverso il proprio corpo una sfida alla società e alle istituzioni lo fa per ostentare da una parte il suo coraggio e il suo sfregio alla società ‘perbene’, e dall’altra l’impunità di cui gode. Non è lo stesso linguaggio del picciotto o del boss mafioso, che invece assumono l’apparenza borghese, e anzi di eleganza e distinzione, per segnalare la posizione interna alla società che fingono di avere. Coraggio e sfregio sono funzionali, nel coatto, al ruolo di capo che assume rispetto a un gruppo, in questo caso gli ultras, nel quale per primeggiare deve mostrare di essere il più duro, il più, appunto, ‘carogna’. Il coatto non teme di assumere su di sé i valori negativi della società: “Io sono carogna, brutto, minaccioso, violento” dice col linguaggio del corpo. Questo muro di dichiarazioni di guerra serve a proteggere gruppi minoritari ed emarginati che trasformano in aggressività la loro debolezza sociale e culturale. Possono aver luogo in società garantiste nelle quali l’habeas corpus è rispettato. Nei regimi totalitari, nei quali le forze dell’ordine possono agire repressivamente senza particolari vincoli, queste manifestazioni in genere sono meno presenti.
Tornando a questioni mediatiche, la scena dello stadio, riportata per sole immagini, ha visto il livello verbale di spiegazione (“non c’è stata trattativa”, si è detto, “solo comunicazione”) sopraffatto dalla descrizione visiva, nellaquale la corporeità di Genny ha preso il sopravvento. Che Genny si presentasse come coatto e capo dei tifosi è apparso chiaro e, per metonimia, quello che esprime il capo rappresenta quello che esprime il suo gruppo. Inoltre, tutti hanno visto una star del calcio, Marek Hamsik, che appare in spot e programmi TV, parlare con lui. Perciò tutte le spiegazioni verbali fatte a posteriori dai rappresentanti delle forze dell’ordine non hanno potuto evitare la lettura che ha prevalso su quasi tutti gli organi di informazione:

Genny su l’Unità

http://www.unita.it/italia/genny-a-carogna-camorra-ultras-napoli-fiorentina-coppa-italia-mastiffs-droga-misso-rione-sanita-boss-1.566969

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Come spesso accade nei media, tutto questo ha anche elementi tecnici: le telecamere che vengono posizionate negli stadi sono apparecchiature estremamente potenti, che hanno riportato la scena ad altissima definizione. Di contro, nessuno dei partecipanti era microfonato, perché nessuno in questi casi ci pensa. Dunque non esistono testimonianze audio del colloquio, che forse sarebbero state utili a chiarire quanto è avvenuto. In generale, si nota nella gestione di questi eventi una debolezza negli aspetti mediatici che testimonia di una arretratezza imbarazzante in chi si occupa di ordine pubblico. Pochi secondi di immagini nel mondo mediatizzato possono fare cadere governi o muovere enormi interessi economici e politici, soprattutto oggi con la capacità di moltiplicazione infinita che offre la rete. Questi pochi secondi di video hanno già portato a dichiarazioni di ministri, prefetti, dirigenti sportivi; addirittura potrebbero spingere ad approvare leggi o decreti, e probabilmente si apriranno inchieste giudiziarie. Dall’altra, è stata offerta a una subcultura che ha imbarazzanti contatti con la malavita organizzata l’opportunità di presentare e propagandare in modo efficace i propri valori. Quando i nostri responsabili dell’ordine pubblico capiranno fino in fondo che il loro lavoro è strettamente connesso con i mass media? I media non si gestiscono solo con i filmati logati “Polizia” e spediti ai TG e con le conferenze stampa con i referti sequestrati sul tavolo, ma con una continua consapevolezza che ogni azione di ordine pubblico ha un risvolto mediatico. Ogni operatore di polizia in ogni momento deve sapersi comportare come se fosse sotto l’occhio di una telecamera, perché è così e lo sarà sempre di più.