Omar mancherà moltissimo a tutti noi. Io, dalla Francia, non lo vedevo da qualche anno, ma sapere che c’era e sapere che a ogni incontro per quanto saltuario, il discorso riprendeva esattamente dove si era interrotto mi rassicurava. Per me, come per molti di noi, è stato un maestro e un amico e lavorare con lui era una vera avventura non solo accademica ma umana: aveva un’energia vulcanica, mille idee, mille curiosità e trasmetteva l’entusiasmo per fare sempre meglio. Se penso a Omar, e a cosa caratterizzasse il lavoro con lui, era esattamente questo: passione, impegno e tempo presente, sempre. E Omar non si fermava mai, con grande generosità dava fiducia ai giovani anche per incarichi complicati e ci affiancava in ricerche che, per inesperienza, non avremmo nemmeno mai sperato di fare.
Per alcuni anni ho lavorato a stretto contatto con lui, eravamo un gruppo di dottorandi e ci coinvolgeva per le attività di ricerca e di didattica. In quel periodo gli chiedevano di proporre docenti per corsi di ogni tipo, conferenze, ricerche e lui accettava per noi, perché potessimo avere occasioni di lavoro, e ci mandava in giro per tutta Italia. La mia settimana trascorreva sui treni, dal nord al centro Italia, ogni giorno in un’università diversa o in centri di formazione per fare corsi di ogni genere.
Personalmente gli devo molto, ho imparato a lavorare grazie a lui: da una parte c’era la sua fiducia che nessuno avrebbe voluto deludere, dall’altra la necessità di imparare a reagire in fretta, provare a tenere il suo passo e a reinventarsi in ogni occasione per non soccombere. Grazie a Omar ho esplorato e approfondito settori di ricerca che erano anche piuttosto lontani dai miei interessi iniziali ma che, poi, sono diventati il mio territorio di ricerca principale e la mia professione. È a partire dai contatti di Omar che ho iniziato a lavorare con i designer e i progettisti, e sempre grazie a lui ho esplorato tutti i campi della semiotica trovandomi giovanissima a insegnare in corsi di linguistica, semiotica e in tutti i domini di applicazione possibile.
Professionalmente, quando investiva sui suoi collaboratori giovani, Omar non tollerava esitazioni: prendere o lasciare, ci si sentiva all’altezza o meno ma tutto era da decidere all’istante e, quando si decideva, si doveva andare fino in fondo, assumendosi ogni responsabilità. Ecco, questo era Omar. Niente a che fare con un “barone”, certamente non uno che accompagnava e proteggeva, ma un professore che, quando credeva nel lavoro di qualcuno, dava opportunità momentanee, da gestire da soli e – chi ci riusciva – spiccava il volo. Insomma, un professore che dava l’opportunità di imparare e di crescere, altrimenti e altrove. Per certi aspetti, il massimo della generosità.
Non soltanto Omar era generoso, ma riconosceva, onorava e parlava della generosità che lui stesso aveva ricevuto all’inizio della sua carriera: ci raccontava dei suoi “maestri” e ne ammetteva l’importanza, non solo per quanto aveva imparato, ma anche per le opportunità che gli avevano dato. Per quanto Omar fosse brillante – e agli occhi di chiunque, naturalmente predestinato a diventare un eccellente studioso e professore universitario (tra le sue altre innumerevoli attività) – ci teneva sempre a ricordare queste occasioni, mostrando di sapere perfettamente e senza ipocrisie che “essere bravi” non era sufficiente, era necessario anche che qualcuno credesse in noi. Questo è l’aspetto che mi ha sempre colpito di Omar, la sua umiltà intellettuale unita a una sensibilità profonda nel capire gli altri. Un’empatia nel rispetto che portava al suo interlocutore in ogni occasione, anche in situazioni mondane fatte di contatti necessariamente superficiali e circoscritti, situazioni in cui era comunque a suo agio.
Per tutto questo Omar mi mancherà anche se, come ogni maestro, mi ha lasciato un modello che ho sempre cercato di seguire e che spero di poter onorare: l’ascolto e il rispetto per gli studenti e per i più giovani, e la trasmissione del sapere che è efficace solo quando passa per la passione e per l’entusiasmo.