A proposito della trasmissione di Vespa sulle Foibe, potrei lamentarmi delle tecniche ben note che ha impiegato per costruire una finta trasmissione “equilibrata”, e basterebbe citare il fatto che gli eccidi italiani in Slovenia sono stati relegati all’una di notte e senza discussione alcuna. Ma quello che mi è parso un imprevisto interessante, nella trasmissione di Vespa, è l’emergere di una opposizione tra il discorso giornalistico e quello storico, e le rispettive epistemologie. E in effetti i due storici invitati, la Kersevan e Pupo, seduti ai lati opposti del salotto vespasiano, invece di recitare la parte della verità italiana e iugoslava che gli era stata affibbiata, andavano un po’ troppo d’accordo tra loro, e troppo poco con il resto degli ospiti.
Per la logica del medium televisivo, si sa, “dire” non è sufficiente: occorre “mostrare”. E per il contratto di fiducia tra giornalista e ascoltatore, pilastro del giornalismo moderno, quel che si mostra è vero. Che sorpresa quando lo storico (Kersevan) ha pizzicato nel servizio giornalistico degli scherani di Vespa sui crimini atroci, commessi dai partigiani titini ai danni degli italiani, una foto che documentava l’esatto opposto: soldati regolari italiani, riconoscibili dagli elmetti, nell’atto di fucilare i contadini (li allego). Pupo, lo storico cui la trasmissione ha assegnato il ruolo di rappresentare la parte italiana non può che confermare. E che sorpresa quando dichiara che di sterminio etnico non si può certo parlare, visto che l’ideologia dei comunisti partiva da valori diversi e che le vittime non erano “genericamente” italiani, ma a ragione o a torto identificate dai partigiani con lo stato fascista. O quando taccia di rozzezza le argomentazioni dei due politici presenti: si trattava di Gasparri e Rizzo, davvero una facile accusa, ma perché sono stati invitati proprio due persone dagli evidenti disturbi cognitivi? Infine, Pupo concorda con la Kersevan sul fatto che ciclostilati e volantini che all’epoca denunciavano l’eccidio non sono veritieri sol perché d’annata, ma hanno bisogno comunque di una verifica attraverso un controllo incrociato delle fonti.
E questo mi pare davvero il nodo. Posto che quella di Vespa sia davvero una trasmissione giornalistica, occorre concludere che i criteri che costituiscono la verità interna a quel discorso sono enormemente più deboli rispetto a quelli richiesti da un qualunque storico. Il che rende problematica “la storia in prima serata”, che la faccia Vespa o Minoli. Il ritmo diluito del racconto per immagini, l’ambiguo statuto di queste, il loro carattere feticistico che blocca il rimando al significato e alle diverse interpretazioni (rubo l’etichetta a Ugo Volli, che anni fa l’impiegava a proposito della moda), rendono questa forma di narrazione estremamente diseducativa, se confrontiamo anche il numero di persone che raggiunge, privi di criteri per discriminare la qualità dell’informazione cui sono esposti. Da anni storici seri di parte italiana e slovena si confrontano per ricostruire la memoria di quei fatti e favorire la conciliazione; il rispetto dei criteri di scientificità non dà certo la certezza del risultato, ma è forse l’unica speranza possibile al riguardo.