Ambiente e linguaggi 2: nuovi razzismi e nazismi?

  1. Ambiente e linguaggi: allarme globale neo-razzismo?

Qualche tempo fa, su questo blog, uno degli autori, Salvatore Zingale, ha pubblicato un interessante post riguardante il tema (e relativo convegno) delle possibili azioni di comunicazione, attraverso i vari media, che possono essere portate avanti per “salvare il pianeta” e il suo ambiente.

Ho pensato allora di riprendere quel titolo su un “allarme globale”, dato che, parallelamente al tema, fondamentale, dell’ambiente “naturale” di vita e dell’inquinamento, c’è un altro tema “ambientale” strettamente correlato al primo.

C’è anche un altro “ambiente”: anch’esso soggetto a forme di inquinamento e a pericolosi contagi; e in cui si rischia talvolta di trovare un clima terribile e da un’aria irrespirabile. È l’ambiente delle situazioni sociali e dei nuovi rapporti culturali; in cui però si diffondono le fobie antiche, le tensioni delle nostre città, le loro sindromi e pericoli della vita di tutti i giorni: i razzismi, la costruzione dell’”altro” come nemico. L’identitarismo come possibile forma di avvelenamento; e, al contempo, l’attivarsi di un tipico meccanismo detonatore: la paura.

  1. Vittime del razzismo e parole razziste

Di recente si è sviluppato, sul web e, in parte, sulla carta stampata, un forte dibattito sul tema del “nuovo” razzismo, o di un ritorno di razzismo. In particolare, dopo la strage di dicembre 2011, a Firenze, con l’uccisione e il ferimento dei poveri giovani ambulanti senegalesi (Samb Modou, Diop Mor, Moustapha Dieng, Sougou Mor e Mbenghe Cheike) ad opera del neonazista Casseri. Per questo motivo, il terribile episodio di assassinio razzista si è presto collegato ad una questione: quella della persistente presenza in rete di siti internazionali di cultura nazista e fascista. Ma è questo “il solito problema” che periodicamente si ripropone? Vediamo.

Ad esempio, ha suscitato scalpore la notizia del sito nazista Usa (Stormfront) ospitante un forum che ha pubblicato, sulla scia delle notizie legate agli omicidi e i ferimenti di Firenze, dichiarazioni a favore e in onore del killer di Firenze, acclamandolo come “eroe bianco” contro i “senegalesi che invadono Firenze”; pubblicando inoltre vere e proprie “liste di proscrizione”, indicando chi colpire fra politici, giornalisti, magistrati, sacerdoti, così come persone che lavorano nel mondo della cooperazione e del volontariato, o di aiuto agli immigrati. Di questo sito è stata chiesta la chiusura (vedi per un approfondimento http://www.lettera22.it/showart.php?id=11988&rubrica=12). Ma si sa che quasi non ha senso chiedere la chiusura di siti web: è davvero così, dato che, per definizione, le fonti della comunicazione in rete sono mobili e plurime? Tuttavia contro-campagne di sensibilizzazione sarebbero forse possibili? O, ancora, è da ricordare il caso del professore di filosofia di Torino che ha lanciato attraverso Facebook, oltre alla sua ammirazione per il killer di Firenze, proclami neonazisti con tanto di minacce di strage alla sinagoga.

Il caso del massacro di Firenze e del sito Stormfront è stato commentato anche dai media internazionali: si veda, ad esempio, l’articolo, ripreso da “Internazionale” (23/29 dicembre 2011), di Annette Langer, di Der Spiegel (http://www.spiegel.de/international/europe/0,1518,803938,00.html ). La giornalista insiste anche su un altro punto: domandandosi se Casseri fosse o meno “un cane sciolto”, anche se si considerava simpatizzante di CasaPound.Annette Langer, a proposito del caso Casseri, parla di “‘Fascist Delirium’ Online”. E sottolinea: “Meanwhile, Casseri has been become a hero of the right-wing extremist scene in the country, praised as a true Italian and a ‘white hero’ worthy of renown and respect on the racist website stormfront.org. Casseri ‘cleaned up,’ a task for which he deserves thanks, a statement on the website read. A support group on Facebook entitled ‘Gianluca died for us’ has already been ‘liked’ by more than 6,000 users. Comments include this one: ‘Florence was only the beginning. We’ll clean up all of Italy.’ A ‘fascist delirium’ has broken out in the country, daily La Stampa wrote on Wednesday.For right-wing extremists, the reasons behind the killings are obvious. The situation has long been unbearable, the multi-ethnic society ticking ‘like a time-bomb about to explode,’ anti-Semitic website NonConforme wrote.”

Tuttavia, qual è, in questo caso, il vero nodo problematico, al di là del terribile caso Casseri, o di casi che possono sembrare episodici e, appunto, periodicamente emergenti, di odio razziale e di propaganda neo-nazista?

La giornalista Langer sottolina come, più in generale, sia in atto una trasformazione, da tempo, nel mondo dell’ultradestra. Il “modello CasaPound” è guardato, dice Langer, con interesse dai gruppi di destra in Europa, e in particolare in Germania. Modello che sembra attirare proprio per i suoi caratteri di originalità: nella capacità anche di costruire una estetica relativamente nuova, rispetto agli stili tradizionali della estrema destra (nei siti e nello stile comunicativo), considerata ora come “vetero-destra”.

Da un lato, il modello CasaPound riprende (oramaida tempo) certi caratteri, sia iconografici, che di azione (occupazioni di case per scopi sociali, ecc.), “da centro sociale” (si veda l’omonimo sito). Dall’altro incrocia, invece, sul piano dei contenuti, riferimenti alla cultura e all’economia del ventennio fascista, degli “anni ’20 e ’30″ senza però mai parlare esplicitamente di fascismo, ma di linee di pensiero avanguardistiche – in vista di un modello “neo-nazionalista” e di alleanza fra nazioni “amiche” – con un linea che, secondo CasaPound, parte da “un’Italia sociale e nazionale, secondo la visione risorgimentale, mazziniana, corridoniana, futurista, dannunziana, gentiliana, pavoliniana e mussoliniana.” Facendo riferimento al modello sociale-economico del fascismo, senza, appunto, quasi mai citarlo direttamente; occhieggiando all’anticapitalismo, all’antiglobalismo. alla necessità di controllare le banche e l’economia finanziarizzata. Fino ai riferimenti al “cancro dell’usura”, tema centrale, come noto, dello stesso Ezra Pound.

Non c’è più svastica o fascio, ma una tartaruga stilizzata. Cut and paste della tradizione della destra, camouflage e ibridazione di temi; video, giovani, e remix di questioni sociali. Più un programma ispirato all’economia autarchica.

Ad ogni modo, se quella della capacità mimetica, di trasformazione e di gestione dei simboli della comunicazione dell’estrema destra, e del suo relativo appeal – in questi giorni Casapound, dopo le polemiche sul nome del poeta ha preso provvisoriamente in prestito il nome di Carmelo Bene – è, si dirà, comunque settoriale e marginale, in grado di parlare e di avere effetto, forse, più “sui suoi membri”, ecco che una questione ben più ampia sembra emergere: quella relativa ai modi di diffusione di certi linguaggi. E, soprattutto, a quali concatenamenti culturali e sociali si legano queste forme linguistico-semiotiche. E, ancora, di quale clima culturale questi linguaggi possono fare da cassa di risonanza o, meglio, da sottofondo.

Dunque, quali sono i fili principali che si intrecciano all’interno di tale questione? E perché alcuni di questi fili sembrano essere interessanti proprio per un occhio critico e di analisi semiotica dei media: più in generale, di analisi dei modi di costruzione dei significati sociali e culturali?

Intanto, da un lato, il dibattito, subito dopo i tragici avvenimenti di Firenze, si è subito incentrato su una questione, piuttosto usuale: quella relativa alle “parole” del razzismo.

In molte discussioni e blog, (fra i quali, ad esempio, “Dis.amb.iguando” di Giovanna Cosenza), si è parlato di questo. Ed è stata ripresa la puntata della trasmissione “l’infedele” con l’intervista ad Umberto Eco sulla figura del killer nazista di Firenze: in particolare sul profilo negazionista e legato alla cultura “simbolico-tradizionale” (di ispirazione para-evoliana); intervista che, fra l’altro, ha suscitato la reazione del leghista Salvini, presente in studio, a proposito degli accostamenti fra cultura della Lega e razzismo. (http://giovannacosenza.wordpress.com/2011/12/21/eco-e-salvini-a-linfedele-su-leghisti-e-razzism/#comment-13822).

Su questo tema c’è stato anche un approfondimentomolto interessante, in particolare di Wu Ming 4, sul sito dei Wu Ming, Giap (http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=6365): un vero e proprio saggio, con analisi e commenti, riguardante le “misletture” di Tolkien da parte di un certo filone della destra radicale, interessato ai miti della “ricerca della Verità”. Secondo Wu Ming, Tolkien viene “ri-letto” e “rimontato” proprio per mostrare come all’interno della sua narrativa si potrebbero trovare motivi e temi cari ad una cultura e mitologia “tradizionalista” e filo-nazista. Niente di più falso, secondo gli studiosi di Tolkien.

In ogni caso, più in generale, quello che qui comunque è rilevante non è tanto il fatto che molte di queste forme di circolazione sub-culturale (idea di “tradizionalismo”; legame con il pensiero di Evola, la ricerca della Vera Verità nascosta fra le pieghe della storia e della letteratura) è, anche, certo, paccottiglia rivenduta cotta e ricotta. Piuttosto essa, con il suo modo di alludere ai contenuti di razzismo e nazismo, più o meno celato, la si ritrova in rete con una sua certa capacità di diffusione (si veda il blog: http://traditionalistblog.blogspot.com,con anche un riferimento a Casseri e alla sua produzione saggistica e, di recente, letteraria: “For Casseri, the important clash seems to have been that between Tradition and Modernity. And the important narrative may have been that of the warrior, Casseri‘s interest in whom may owe something to Evola. This may help to explain his actions, but it does not explain his targets.”). Il killer Casseri aveva scritto un pamphlet (“I protocolli del Savio di Alessandria”) contro il libro di Eco “Il cimitero di Praga”, proprio sull’interpretazione dei “Protocolli dei Savi di Sion”, dando di essi una sorta di lettura profetica sul presente. Ecco che, in qualche modo, ci si trova di fronte ad una una sorta di articolazione politico-culturale e comunicativa di questi temi e argomenti: una sorta di rete nella rete che, certo, nelle nicchie, si avviluppa su se tessa; ma che lancia segnali all’esterno che talvolta risuonano con le situazioni attuali.

  1. Le “parole” del razzismo?

Dicevamo che uno dei punti di discussione è stato quello, piuttosto tipico, delle “etichette” utilizzate dai media, in questi casi: le vittimeerano “dei senegalesi”: molti giornali lo hanno subito scritto, cosa del resto abbastanza usuale, come il dire “ambulanti senegalesi”, o “degli albanesi” o, molto peggio, quando si dice “dei clandestini”. O ancora “la polacca” violentata. O i “rumeni” che hanno fatto “questo o quest’altro”. E di qui sono partite le critiche.

Certo, si tratta di una questione fondamentale: quella degli stereotipi e del loro uso e abuso nei media. Ma non è tanto, o solo, l’etichetta in sé ad essere razzista, è ancora una volta la connessione fra livelli che produce il significato. Se ovviamente dico, i “poveri senegalesi” non sono razzista, ma al massimo ricado in uno stereotipo di tipo discorsivo, di uso comune; di stile semplificato di discorso, dato che non direi “i poveri bolognesi” o “milanesi” vittime di…o protagonisti di …Dunque è un problema non tanto (ovvio) di contesto e di etichette in sè; quando di uso, ripetiamo discorsivo dei termini: di come le parole si concatenano fra loro. Certo, davvero ci vorrebbe parecchia più attenzione da parte dei media; ma forse non è più questo il punto.

Qualcosa di peggio era infatti accaduto, come noto, un paio di settimane prima, in occasione dello stupro inventato a Torino e del conseguente assalto e incendio al campo Rom. Un articolo de La Stampa (seguìto poi da un “mea culpa” dello stesso quotidiano che ha fatto altrettanto discutere) che subito frettolosamente inventava la storia, anticipandone le conclusioni, dei “rom che stuprano”. In generale, dunque, c’è un problema di come si attivano gli stereotipi attraverso le parole (anche se gli esempi qui riportati sono diversi: nel caso di Firenze si parlava delle vittime, in quello di Torino, di presunti colpevoli).

Più in generale si dice che i media dovrebbero avere la capacità non solo di “essere sensibili” o “attenti” (dai modi di accostare e impaginare, al non creare “risonanze” o “tematizzazioni”, o iper-tematizzazioni, come avrebbe detto lo stesso Eco) ma anche di fare attenzione “alle situazioni” e più in generale “alle diversità culturali”; tutto questo ci pare francamente piuttosto ovvio, oggi; anche se questi criteri di base molto spesso poi non vengono rispettati.

Dunque, il problema non sono le etichette in sé ma i modi che esse hanno di esprimere e di collegarsi con i valori e i sistemi di significato; e i modi (desideri, paure, volontà) di comprendere questi significati immersi nel mondo.

  1. Rischi di escalation semiotico-razziste?

C’è però un altro puntodella discussione attuale che ci pare non emerga con la dovuta forza, e che sembra molto più importante e temibile: una sorta di possibile escalation razzistico-semiotica. Abbiamo un termometro della situazione, o la capacità di prospettare i rischi? Di cosa?

Il problema, in parte è già stato segnalato da alcuni giornalisti (vedi intervento di Langer già citato sopra) ma anche, a quanto pare, dai servizi segreti tedeschi e di altri paesi europei; sul fatto che il mix di grave crisi economica, paura per la situazione finanziaria, nuove migrazioni, anche interne all’Europa (flussi migratori di cittadini spagnoli e greci verso la Germania) e infine accuse reciproche fra paesi e comunità nazionali (“i Greci ne approfittano”, i “Tedeschi sono egoisti” ecc.) diano luogo a concatenamenti, anche discorsivi, che potrebbero fornire nuovi materiali per la costruzione di nuovi paradigmi della paura: di argomenti per un nuovo nazionalismo di ritorno che attraverserebbe tutta l’Europa, connettendosi con le paure le tensioni e gli scioperi di questi giorni.

Il male, lo ricordava qualche tempo anche fa Stefano Bartezzaghi, in un intervento su Repubblica (27 aprile 2011) a proposito di memoria e di olocausto (e si veda, su questo tema, tutto il lavoro di Valentina Pisanty sul discorso negazionista e sulla memoria della Shoah, anche con l’uscita recente del suo ultimo libro “Abusi di memoria”), il male, si diceva, “non è macroscopico, è microscopico”: è una “zona grigia” che può diffondersi e può collegare in modo inaspettato zone anche diverse delle culture.

L’abbiamo visto nel recente passato, non lontano da noi, sempre in un’Europa sconvolta dal debito e dalla crisi economica, quanto l’Etnico possa diventare assassino.

One comment

  1. Giampaolo Proni says:

    Sono curioso se ci sono studi sulla ‘percezione’ dell’altro. Da semiotico interpretativo penso che il discorso è spesso radicato nella prima sfera semiotica, quella della percezione. A me è successo, dopo alcuni mesi che insegnavo a studenti cinesi, di avere una improvvisa ‘apertura’ percettiva. In un momento di vero ‘satori’ percettivo, mi sono accorto che non li vedevo più tutti uguali, secondo lo stereotipo occidentale così diffuso. Questo cambiamento è avvenuto attraverso la semplice esperienza, un lavoro che il mio cervello ha fatto nella frequentazione quotidiana. E’ probabilmente un complesso lavoro di pertinentizzazione di tratti somatici e narcotizzazione di altri (affascinati dagli occhi a mandorla, per es., trascuriamo altri particolari dei volti), ma anche la mia volontà di imparare i nomi cinesi (che sono difficili da memorizzare per noi essendo monosillabi). Tuttavia, se a livello consapevole non ho mai accettato il luogo comune ‘sono tutti uguali’, percettivamente avevo difficoltà, e la percezione non possiamo cambiarla con un atto di volontà. Possiamo condurla lungo i binari dell’umanità, guidati dalla ragione, mentre il nostro corpo, che è umano e riconosce l’umano, fa il suo lavoro. Il razzismo è sostanzialmente legato a blocchi emotivi, a volte psicosi, che impediscono il funzionamento del sistema cognitivo. Il sentimento di base è la paura. Perciò il razzista va in primo luogo aiutato a uscire dalla sua paura, spesso legata a complessi di inferiorità, problemi affettivi, esperienze negative. Senza ovviamente abbassare la guardia per difendere le persone dalla violenza. Importante però è che chi si definisce non-razzista lo sia veramente. Penso che corsi di non-razzismo sarebbero fondamentali. Un corso ben fatto può aiutare ad abbreviare il percorso di ‘umanizzazione’ dell’altro e la semiotica può servire, e molto.

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