Ciao Ale

Non ricordo bene quando ho cominciato a discutere con Alessandro. Forse in occasione del convegno su (e con) Willard V. O. Quine a San Marino, nel 1990, ma forse già prima nei corridoi di Via Toffano, sede in quegli anni dell’Istituto di Discipline della Comunicazione. Certamente, poi, non abbiamo più smesso, e l’ultima volta che sono andato a trovarlo, in ospedale, calcolando insieme quale fosse il modo migliore per arrivare al bagno (e nelle sue condizioni non era facile), gli ho detto che era tutto un problema di struttura e che avrebbe dovuto studiare meglio Hjelmslev, e lui mi ha risposto con un filo di voce che era – come sempre – un problema di interpretazione.

Alessandro ha pubblicato due libri molto originali. Il primo, dal titolo (indovinatissimo) Fortunatamente capita di fraintendersi (2004, Unipress), è la sua tesi di dottorato. Una tesi innovativa, in cui faceva interagire la teoria della lingua di Donald Davidson e la teoria della pertinenza di Dan Sperber e Deirdre Wilson (con la quale aveva studiato a Londra per un paio d’anni). Nella tesi, e nelle infinite discussioni di tutti i giorni, Alessandro sosteneva che la comunicazione non poggia su regole sintattiche e semantiche definite, cioè su codici, ma su un’attività inferenziale che investe gli ambienti cognitivi del parlante e del ricevente: la comunicazione non si basa sui codici, ripeteva sempre, ma costruisce e poi stabilizza i codici. Da lì il set dei suoi esempi: fraintendimenti, lapsus, malaproprismi, anacoluti, e via dicendo. Il secondo, dal titolo Semiotica (McGraw-Hill, 2009), scritto con Valentina Pisanty, ha la forma e la struttura del manuale, ma in realtà è un libro con una tesi ben precisa che emerge in tutti i capitoli: dal segno si passa alla semiosi, dal dizionario all’enciclopedia, dalla struttura all’interpretazione e alle attività cognitive. I due autori danno seguito in modo molto articolato alla semiotica di Umberto Eco.

Ma Alessandro era soprattutto un conversatore, un amante del dialogo e della dialettica, un vero filosofo dunque. Nel funerale laico che si è svolto alla Certosa di Bologna molti hanno ricordato le discussioni avute con lui, apprezzando il metodo ma riconoscendo i disaccordi nel merito. Infatti lui procedeva proprio così: prendeva le misure dell’interlocutore, metteva a fuoco la sua linea argomentativa, e da lì si spostava un pochino creando uno spazio di contrapposizione che si rivelava sempre proficuo. Conversando costruiva ponti, forzava i confini anche in modo paradossale, apriva sempre degli orizzonti. Con lui ho parlato di semiotica e di filosofia, di politica e di guerra, di femminismo e di genere, e capitava di perdere la cognizione del tempo. Una volta, conversando in un laboratorio informatico di via Irnerio, non ci siamo accorti che avevano chiuso l’edificio. È suonato l’allarme e sono arrivati i carabinieri. Il giorno seguente siamo stati convocati dalla temibile segretaria dell’Istituto, Simona Barbatano, e ricordo bene che ho mandato avanti lui perché sapevo che così Simona sarebbe stata più buona.

Non era un amante dei convegni, Alessandro, ma il congresso annuale dell’Associazione Italiana Studi Semiotici era per noi un appuntamento fisso perché sapevamo che la sera, in albergo, ci saremmo ritrovati a parlare in camera di Valentina fino a tardi. Durante il giorno commentava tutte le relazioni, ci passavamo bigliettini con critiche e osservazioni (i pizzini), progettavamo nuovi seminari e nuove teorie. Peraltro, nei convegni era spesso attorniato da giovani studiose interessate alle sue teorie e ad altro. Era intuitivo e inconcludente, geniale e pigro, illuminante e caotico, disordinato e maniacale; sempre originale e spiazzante e fuori dagli schemi. Aveva uno stile inconfondibile: l’appartamento studentesco, l’abbigliamento alternativo, l’immancabile orecchino, la sua bicicletta. Anni fa, con le nostre fidanzate di allora abbiamo fatto un corso di tango. Credo che Flora, la bravissima insegnante della scuola, non abbia mai incontrato due più negati di noi. E quando, alla fine della seconda lezione, siamo andati a dirle che non saremmo più andati, non ha fatto nulla per trattenerci. Con lui ho trascorso l’intero pomeriggio dell’11 settembre 2001, al telefono. l’ho avvertito degli attentati, ma aveva l’audio del televisore rotto, così abbiamo guardato insieme le immagini degli aerei che colpivano e abbattevano le Twin Towers e io gli riportavo i commenti dei telecronisti.

Alessandro era politicamente impegnato e non faceva distinzioni tra sfera personale e sfera politica. Tutti gli amici, ora, lo ricordano presente a manifestazioni importanti. Negli ultimi anni ci raccontava con passione il lavoro del laboratorio che aveva contribuito a fondare con Beatrice: Smaschieramenti. Volevano (vogliono) combattere gli incasellamenti di genere, maschio, femmina, uomo, donna, e sostenere la molteplicità dei generi e decostruire e smascherare gli stereotipi maschilisti, e Alessandro quando mi raccontava tutto questo era così convincente, così persuasivo, ma quando ho visto che hanno scritto sul loro blog “Se n’è andata Alessandro Zijno l’Ambigua” ho strabuzzato gli occhi e avrei voluto subito chiamarlo e ridere con lui (lei?) anche di questo. Perché Alessandro era determinato, difendeva le proprie posizioni con accanimento, ma era sempre autoironico.

Con Ale ci prendevamo in giro perché io avevo scritto un manuale, ma poi ne aveva scritto uno anche lui con Valentina, e ognuno cercava di sostenere la superiorità del proprio e di denigrare quello dell’altro. Il nostro codice era questo, non ci facevamo i complimenti reciproci. Ma ad aprile di quest‘anno sono andato a Chicago per un periodo di studio e nella splendida biblioteca Regenstein della Chicago University, controllando il reparto di semiotica, con mio grande stupore ho trovato il libro Semiotica di Pisanty-Zijno. Tornato subito alla mia postazione, ho scritto ai miei due amici una mail in cui dicevo loro che erano presenti in questa megabiblioteca di respiro internazionale, ma che avevo preparato un bigliettino da mettere nel loro libro, e c‘era scritto: “meglio il Traini”. Poco dopo mi è arrivata la risposta di Valentina, nella quale mi diceva che Ale era stato ricoverato per un problema ai polmoni. Da lì è iniziata un’altra storia. Ma è certo che in qualche altra biblioteca del mondo mi capiterà ancora di trovare il suo libro, e allora ci metterò dentro un bigliettino, e ci sarà scritto “ciao Ale”.

6 comments

  1. Cinzia Bianchi says:

    Ho conosciuto Alessandro durante il nostro corso di dottorato in Semiotica di Bologna. Un bel ragazzo, dai lineamenti tipicamente romani, un sorriso accattivante, uno che non passava inosservato per l’aspetto fisico ma soprattutto per cosa diceva e l’attenzione che rivolgeva alla persona con cui si trovava ad interloquire. Una sentita attenzione che travalicava sempre l’oggetto della conversazione: un’identica intensità cognitiva ed emotiva la si poteva trovare in lui sia che l’argomento fosse il destino della filosofia e della semiotica sia che riguardasse la forma della nuova libreria da costruire. E poi la politica, un argomento che ha suscitato sempre in noi un serrato scambio di opinioni, ironico ed analitico allo stesso tempo. Ed era facile incontrarlo durante manifestazioni e comizi, una forma di protesta che però Alessandro viveva con la sua solita intensità ma anche con una certa sfiducia riguardo alla sua reale efficacia.
    Con Alessandro abbiamo condiviso i lunghi anni di precariato universitario: stesso ciclo di dottorato, abbiamo vinto il concorso per ricercatore universitario a distanza di un paio di mesi nel 2005. Nel mentre ci siamo trovati qualche volta a partecipare allo stesso bando per una borsa di studio o un assegno con alterne fortune, ma mai ho avuto la sensazione di competere veramente con lui. Qualunque fosse l’esito finale, commentavamo l’accaduto a volte increduli a volte sarcastici, con la consapevolezza che le questioni universitarie non potessero intaccare la nostra amicizia.
    Abbiamo poi condiviso il pendolarismo universitario poiché la nostra sede di lavoro era distante da Bologna, luogo dove ci siamo formati intellettualmente e dove abbiamo scelto di vivere. Un pendolarismo subito, forse, ma anche gustato, perché la distanza dalla nostra famiglia intellettuale di origine ci ha rinforzato, fatti crescere velocemente e ci ha dato la sensazione di essere più autonomi. Almeno così ci sembrava e ci dicevamo.
    Per lunghi periodi le nostre scelte di vita ci hanno allontanato, anche se ogni volta che ci incontravamo sembrava facile colmare mesi di distanza. E così è avvenuto nell’ultimo periodo.
    In primavera la telefonata di un’amica comune mi avvertiva che Alessandro non stava bene e che era in ospedale. La diagnosi, i tentativi di cura, la sua sofferenza, ma anche la sua volontà di farcela, il suo solito umorismo e l’attenzione nei confronti degli altri, molto partecipata ma sempre più sussurrata, via via che la sua voce diventava più flebile; il nostro profondo dolore per la sua scomparsa… Ogni momento di questi ultimi mesi, ogni battuta, ogni fraintendimento o meticoloso desiderio, mi torna alla mente e mi conforta solo il pensiero di essere riuscita a stargli vicino, per quanto mi è stato possibile. Che poi è stato un modo per trovare rassicurazioni: era lui che mi tranquillizzava, mi dava conforto sulle sue condizioni e io concludevo ogni visita un po‘ più sollevata di prima.
    Ciao Ale, mi mancherai.
    Cinzia

  2. Giampaolo Proni says:

    Ci siamo spesso, in redazione, lamentati che questo blog non prendeva il via. Grazie Stefano per questo bell’intervento, non semiotico, o magari veramente semiotico? Elaborare il lutto, si dice, e certamente di questo rito, o semplice comportamento, fa parte il mettere in mostra belle cose, belle parole, belle immagini per ricordare chi non c’è più e per consolare noi che ci siamo. E questo ne è un esempio perfetto, perché è uno schizzo di Alessandro Zijno in cui mi pare di vederlo parlare e agire. Chissà che non sia Ale a darci lo spunto per portare in questo spazio le tante cose che ci diciamo tra noi. Mi piacerebbe se fosse così.

  3. Mamma says:

    Caro Stefano,
    con tanta commozioneed orgoglio ho lettto quanto hai scritto per ricordare Alessandro, ti ringrazio dal più profondo del cuore per le tue belle parole, hai descritto mio figlio proprio com’era.
    Sono certa che rimarrà sempre nel tuo cuore così come per me, per la sorella e la famiglia tutta.
    Alessandro mi manca tantissimo. ma tramite te e tutti i suoi amici con i Vostri scritti lo sento ancora più vicino.
    Grazie, Ti voglio bene
    Rosetta
    Mi sarebbe piaciuto raggiungervi di persona, ma non ho i vostri recapiti

  4. Nicola Dusi says:

    Sto pensando ad Alessandro
    alla complicità di (troppo poche) conversazioni rapide
    in cui ho sentito che ci capivamo
    che c’erano ironia e affetto e intesa
    anche se ci vedevamo poco.
    E a un viaggio in treno, Padova-Bologna,
    fatto parlando insieme fitto fitto
    fino all’angolo della via che divideva le nostre strade.
    Ho ancora voglia di dargli un forte abbraccio,
    come facevamo salutandoci, riprendendo
    le nostre vite così diverse, così simili.
    nicola

  5. Nicola Dusi says:

    Ritorno su Alessandro.
    Era un po’ che volevo provare a scrivere qualcosa in ricordo di Ale, poi è passato del tempo.
    Ale mi è tornato in mente tante volte in questo periodo. “Ciao fede, ciao Ale”.
    Nel mio caso, gli incontri erano sempre dell’idea di “intermittenti e sporadici” ma per questo “sorprendenti”; la sera di Genova, allo stadio Carlini, dopo il disastro: venne lì, a trovarci, per un conforto e coraggio reciproco; il giorno dopo, una buffa (a ripensarci ora dopo tanti anni) telefonata da una cabina (lui ancora tenacemente senza cellulare) per domandare, in mezzo al macello e ai fumi un: “fede? come va?”.
    Una notte bolognese, ancora nebbiosa, un po’ prima che sapessi che stava male.
    L’estate, invece, in un parco di una festa e il suo gruppo (poi di smaschieramenti) in un simbolico vederli in gioco-scherzosa e simulata ammucchiata. E poi in presidio per Atlantide.
    Prima, immaginarlo, vividamente, “manager di bar” nella Londra post, post punk, mentre studiava con la Wilson (quella di “Sperber & Wilson”). E il fatto che aveva il mito dello Zanardi di Andrea Pazienza, di essere un po’ come lui. Poi, certo, anche, i seminari, i ritorni a palla da San Marino, con i Rem (ma tanti anni fa!) cantati, nella sua Uno. Sì, certo, forse ricordi simili, di ognuno, a quelli di altri. E molti possono dire di essere, è vero, stati più amici, più vicini.
    Ma ci si porta dietro come un pezzo, un taglio, no?
    E litigi sulla semiotica e accordi sulla politica. Un po’ scemo, io, per avergli fatto delle critiche, dopo una presentazione di libro con la nostra amica Vale. E il lavoro mai finito su “Tolleranza” (con i suoi interventi composti in linguaggio filosofico-analitico ma nel pieno del lavoro di un’etica).
    Forse i ricordi ci servono non a stemperare il dolore o il dispiacere? ma a sentire che possiamo tornare ancora là ai momenti, “a tratti”. Boh? che dirà Ale?
    Io dico che si continua a pensare, a fare, a vivere, proprio grazie ai “che dirà” di chi non c’è più. “Ciao fede.. ciao ale”.

  6. Barbara - Portiamo avanti il lavoro iniziato da Ale says:

    Ritorno spesso sulle cose che tutti i suoi amici hanno scritto su di lui, per ricordarlo, per amarlo, per sentirlo ancora vicino comprensivo, sempre in ascolto, disponibile con il suo bel sorriso, ed ogni volta mi commuovo, ma così lo sento ancora presente.
    Nella mia mente sono scolpiti i nostri ultimi momenti, ho una grande paura che in tempo li possa sbiadire, non volglio scordare il suono della sua voce il calore del suo abbraccio cerco sempre mio fratello.
    C’è una cosa che ancora di più non voglio, anche se so che nel cuore di tutti noi sarà sempre presente, che le sue idee la sua passione le sue opere, “Barbara non sai che fatica scrivere” con il tempo vengano dimenticate, vorrei fare qualcosa che gli pernmetta di lasciare un segno ancora più profondo e per questo chiedo aiuto a tutti i suoi amici.
    Non ho le idee ben chiare, ma so che desidero fare, vorrei riunire gran parte dei suoi scritti di cui però non ho traccia, so che durante i primi tempi della malattia aveva scritto dei racconti…
    Spero di trovare nei suoi compagni di vita quotidiana la voglia di fare per avere ancora e sempre Ale tra noi.
    Chiunque sia mosso da questo comune desiderio non esiti a rintracciarmi troverremo un modo per metterci a lavorare per le idee di Ale.

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