Al Virtual Reality Movie Festival di Modena, fino al 29 maggio, fiction e documentari in realtà virtuale esibiscono la gemmazione interattiva di generi consolidati. Il trailer che potete vedere qui restituisce solo parzialmente gli effetti percettivi e di senso che la ripresa e il racconto immersivi producono. Mi ha colpito perché la camera senza operatore (nei documentari il soggetto non è più influenzato dalla presenza del cameraman), e una distanza ravvicinatissima, innestano l’occhio dell’osservatore nella vita di queste coraggiose amazzoni yazide, così a ridosso da risultarmi imbarazzante.
E’ un nuovo e interessante filone del racconto per immagini che pone nuove domande a registi e fruitori sulla costruzione di storie e sul guardare e vedere. Dentro le maschere immersive, infatti, non si è più completamente condotti dalla storia e si diventa in qualche modo responsabili dell’esercizio del proprio guardare. Si è soli, però è curioso, come raccontava Omar Rashid (regista) durante un talk, che ai festival, dopo la fruizione individuale le persone si trovino numerose a discutere collettivamente di ciò che hanno visto. Certamente i festival sono ambienti fruitivamente artificiali, però è interessante che la sensazione di poter aver perso qualcosa di utile ad una comprensione più completa possa far desiderare il confronto tra gli spettatori. E lo stesso Rashid sosteneva come la fruizione collettiva fosse a suo giudizio una pratica essenziale e qualificante di questo genere. Saremmo quindi di fronte ad una rigenerazione del dibattito da cineforum che stavolta scaturirebbe da una tecnologia che rende la fruizione massimamente individuale. Interessante.