Incroci ed eccessi di senso

L’altro giorno percorrevo in bicicletta il Corso della città di Rimini, l’antico decumano, oggi piuttosto stretto e in parte ancora occupato da auto. Come capita spesso nei vecchi centri storici italiani, pedoni, mamme con carrozzine, scooter, bici – elettriche e non – si incrociano e si superano senza regole precise. Capita allora che si veda arrivare verso di noi un pedone o un’altra bicicletta che va in direzione opposta. Non è detto che l’incrocio avvenga sempre a norma del codice della strada, vale a dire ognuno sulla propria destra. Dipende dagli altri pedoni, dalle altre biciclette, da oggetti mobili e immobili che occupano la via.

Succede allora che uno dei due ‘allarghi’ in una certa direzione per facilitare il passaggio.

Mentre lo faccio, noto che questa deviazione viene spesso fatta con un angolo più ampio per comunicare la parte dove si vuole passare.

Per meglio dire, se decido di passare a sinistra, mi sposto a sinistra un po’ di più di quello che sarebbe sufficiente per la semplice sicurezza dell’incrocio, proprio per dire “Sto andando a sinistra, okay? Tu passa alla mia destra”.

Rifletto che questo è un ‘eccesso’ di azione che ha uno scopo semiotico. Non serve al processo fisico di due corpi in moto che devono incrociarsi senza entrare in collisione. Se fossimo due robot dotati di sensori questo ‘plus’ di deviazione sarebbe superfluo. Il margine di deviazione serve per eccesso di prudenza, per avere maggiore sicurezza che l’apparato cognitivo della persona che ci viene incontro possa comprendere da che parte passare.

Possiamo estendere questa considerazione ad altri aspetti del comportamento umano?

Direi di sì.

Goffman, credo in La vita quotidiana come rappresentazione, ipotizza una spiegazione per tanti gesti che facciamo per strada, come guardare l’orologio e il portone mentre aspettiamo una persona sotto casa. Un gesto che non ha funzione pratica ma comunicativa, che serve a dire “Non sono una persona che ciondola per strada, sto aspettando qualcuno”.

Come possiamo definire questo eccesso di comportamento? È una specie di ‘sovraccarico semiotico’ che ha scopo comunicativo.

Oltre agli aspetti semantici e enunciativi, è interessante valutare anche gli aspetti energetici: per produrre questo ‘semiotic overload’ devo impiegare energia. Ecco, una semiotica dell’energia, intesa come lavoro umano per la produzione di senso, forse manca nella nostra disciplina.

One comment

  1. Salvatore Zingale says:

    Sì, c’è una energia semiotica, un “lavoro semiosico”, pressoché in tutte le azioni che facciamo in relazione a spazi, oggetti, persone. Forse è un lavoro subsemiosico, atti che il corpo compie quasi senza chiedere permesso alla mente. Per così dire. È da indagare questa subsemiosi. Anche perché inizia a compiere dei quasi-miracoli, come dimostrano gli esperimenti sullo Shared Space in alcune cittadine del centro e nord Europa, dove l’abolizione di ogni segnaletica prescrittiva – almeno di quella che ci tocca imparare nelle scuole guida e osservare pena infrazione e multa – permette a ogni sorta di ambulante di non provocare alcun tipo di incidente. E di portare gli incidenti a una drasticissima diminuzione.
    Guardare per credere:
    http://www.youtube.com/watch?v=qgYzyGvMqjo
    http://www.youtube.com/watch?v=wn2NfUH0G-Q
    http://www.youtube.com/watch?v=3Wte5-_gCDQ

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